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Sutt'a lingua : Curiosità e approfondimenti.


MA GLI VOLEVA BENE, TANTO BENE, BENE DA MORIR.

Ho ripreso, un po' variate, alcune strofe della canzone cantata dal quartetto Cetra, "Peró mi vuole bene" per introdurre l'argomento di oggi, ovvero come i nostri avi esprimevano il loro affetto nei confronti dei figli.
Mi riferisco agli avi calabresi, e in particolare a quelli sammarchesi, e non alla gente friulana e veneto-giuliana da cui discendo per parte paterna. La precisazione è d'obbligo, in quanto è risaputo che la gente del Nord è notariamente un po' freddina e anche le esternazioni di affetto non vanno oltre un te voio ben, te voio tanto ben di Teddy Reno, il cantante triestino degli anni Cinquanta - Sessanta.

La prima volta che venni a San Marco Argentano fu nell'anno 1946, l'anno successivo alla fine della seconda guerra mondiale. Vi rimasi un anno, ma vi tornai saltuariamente, prima di stabilirmi definitivamente in questa ospitale cittadina, e ad ogni permanenza, che poteva durare da pochi mesi estivi ad un intero anno, avevo modo di apprendere espressioni, vocaboli, detti, proverbi che andavano ad aggiungersi al lessico che aveva formato la mia primordiale cultura veneto-giuliana.
Le prime parole che appresi o mi furono insegnate erano ovviamente 'i mali parole, le parolacce, che mi aprirono un mondo sempre più affascinante, per varietà e fantasia, prodromo di ogni possibile indagine o sviluppo.
Poi cogli anni appresi anche 'i mali porcarie. In questo campo, peró, essendo limitate le componenti che entrano in gioco, non credo di aver imparato più di quanto avrei potuto imparare nella patria natia.

Ritorniamo agli affetti familiari e alle espressioni che connotano, o per meglio dire, hanno connotato intere generazioni.
Quando venni qui, nell'immediato dopoguerra, ero un bambino e come tutti i bambini mi piaceva giocare, correre, saltare, con un dispendio di energie difficilmente recuperabili con le poche risorse di allora.
Una di queste risorse era rappresentata dai fichi secchi, custoditi in casse profonde, chiuse da una pesante copertura. Se si trattava di bauli il coperchio era munito di una fascia metallica che correva lungo tutto il perimetro della chiusura, se si trattava di cassepanche in legno, essa era formata da una o due robuste assi unite ad una sottostante cornice abbastanza spessa.

La prima volta che entrai in casa dell'amichetto con cui avevo giocato in strada per alcune ore, egli mi introdusse nella stanza in cui, in un baule e in un cassone, erano stipati fichi nivuri e crucette, golosità che vedevo per la prima volta!
Il mio amico aprì la cassa e io il baule, dietro suo invito, e mentre stavamo mangiando e infilando nelle tasche i fichi, comparve sulla porta la nonna.
Con un tono di voce che era tra il disappunto, il rimprovero e la comprensione delle infantili debolezze, disse tra i denti: Eh, ca ti vo' piglia' 'u cuoddru 'a cascia!
Poi si avvicinò e senza dire altro ci fece rialzare dalla posizione in ginocchio e ci allontanò dai forzieri e dal tesoro che contenevano.

Non feci caso, in quel momento, a quanto l'anziana donna avesse detto, preoccupato soprattutto di aver perso la stima di bambino educato che mi aveva fatto accedere tranquillamente in casa dell'amico. E di quel disappunto ricordai solo e soltanto, per lunghi anni, l'espressione cuoddru-cascia, forse aiutato in questo da un'accostamento a Santa Rita.

Passarono anni, decenni, e tornandomi alla mente queste parole, che nella mia incomprensione avevo fuso in unico vocabolo, chiesi a varie persone cosa fosse un cuoddrucascia, non avendo mai una risposta o, al massimo, la spiegazione che questa parola era inesistente.
Fu per caso che ad un mio coetaneo, sammarchese purosangue, sorse il dubbio che volessi dire cuoddru a cascia. E allora mi ripetè quanto nel lontano dopoguerra avevo udito all'indirizzo del mio amico: Che ti vo' piglia' 'u cuoddru 'a cascia!, cioè la nonna augurava al nipotino adorato che quel pesante coperchio gli potesse cadere sulla nuca, come una sorta di ghigliottina!

Il mio amico, quello adulto, mi disse divertito che era un'espressione che veniva detta senza cattiveria, ma solo come bonario rimprovero ai bambini che andavano a frugare nelle casse alla ricerca di fichi, ... però gli volevano bene. Tanto bene, un bene da morire.

Per approfondire vedi BINIDIZZIONI E GASTIGNI

San Marco Argentano, 27 luglio 2022

Paolo Chiaselotti

Nell'immagine in alto un particolare della Venere di Urbino di Tiziano