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                        FILIPPO PERRONE 
                         
                        Abbiamo già avuto occasione di parlare di un pittore che raffigurò
                        il voyeurismo di don Melchiorre sulla parete di una bettola. Le iniziali
                        mi inducono a pensare che si trattasse effettivamente di Filippo Perrone, nato nel
                        1810 e morto a soli venticinque anni; lo stesso che ritrasse Gesualda nell'Addolorata. 
                        Ammesso che l'autore fosse lui, certamente la vicenda che illustrò gli fu
                        narrata essendo avvenuta quando Filippo aveva un anno. Devo supporre che nella taverna
                        di Antonio Capparelli la raffigurazione, che all'epoca forse mostrava qualcosa di
                        più rispetto all'immagine consunta dall'umidità che io ebbi modo di
                        osservare, destasse commenti e battute piuttosto volgari. 
                        Ricordando i tratti del dipinto, posso affermare che sembrava uno di quegli ex-voto
                        che si vedono nei santuari, eseguito con forme imprecise e con scarsa conoscenza
                        della prospettiva; infatti l'anziano guardone appariva con una testa più
                        grande degli altri due personaggi in primo piano. 
                        Forse proprio questo fatto potrebbe confermare che l'autore fosse Filippo Perrone,
                        non perché io sappia qualcosa delle sue abilità pittoriche, ma perché,
                        essendo il proprietario dell'osteria morto nel 1826, Filippo non doveva avere più
                        di sedici anni quando raffigurò il triangolo dai vertici sensuali. Certo,
                        allora si era già adulti all'età del pittore di cui stiamo parlando,
                        ma egli non era né un monello di strada, né figlio di un frequentatore
                        di bettole, bensì era il terzogenito di don Gaetano, notaio, e fratello di
                        padre Bonaventura, al secolo Francesco, monaco riformato. 
                        Lasciamo da parte l'attribuzione dell'opera, di nessun valore artistico, e soffermiamoci
                        invece sulla morte prematura di Filippo. Nel 1835, l'anno in cui morì, non
                        vi fu nessuna pestilenza.
                     
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                        Dal suo albero genealogico scopriamo che la madre apparteneva alla famiglia Arcuri
                        e che una sorella, Cilidea, si sposò con un Credidio.
                         
                        A voi queste relazioni parentali non dicono nulla, ma io so che negli Arcuri serpeggiava
                        un sentimento antiborbonico che negli anni si trasformò in aperta ostilità
                        verso il governo, e anche l'altra famiglia aveva qualche simpatia giacobina.
                         
                        Non potrei certo affermare, sulla base di indizi così deboli, che Filippo
                        Perrone fu ucciso.
                         
                        A volte, però, ai ricercatori e ai curiosi, ed io mi reputo tale, accadono
                        cose davvero impensabili. Non è fortuna, ma probabilità, che diventa
                        tanto maggiore quanto più siamo curiosi. 
                        L'archivio di stato di Cosenza conserva tra i tanti documenti gli atti notarili,
                        che io non ho mai consultato non avendo avuto occasione di farlo perché non
                        ero interessato. La maggior parte dei ricercatori, studenti soprattutto, trovano,
                        invece, in quei registri illeggibili e consunti dall'uso frequente una miniera di
                        informazioni. Un giorno, mentre ero in attesa che l'addetto mi portasse alcuni fascicoli
                        dello stato civile per una ricerca su una famiglia di Fuscaldo, osservai una giovane
                        che sfogliava un registro notarile sul cui dorso era riportato il nome del notaio:
                        Gaetano Perrone di Sammarco. Le chiesi che cosa riguardasse il testo che stava leggendo,
                        visto che anch'io ero di San Marco Argentano. 
                        Cinzia, questo il nome della ricercatrice, soddisfece subito la mia curiosità,
                        dandomi tutte le informazioni sul contenuto dei registri notarili in generale: vendita
                        e descrizione di beni di ogni genere, ma a volte capitava che il notaio conservasse
                        appunti personali e corrispondenze con persone diverse. 
                        Le chiesi di informarmi se avesse trovato qualcosa di interessante. La richiesta
                        era talmente sciocca che mi guardò, sorrise e dopo un attimo di esitazione
                        disse: "Interessante per chi?" 
                        Era una ragazza, ma si vedeva che lì dentro c'era da una vita. Osservandola
                        bene, i capelli sciolti sulle spalle, nessun segno di trucco sul viso, vestiti casual
                        quasi appoggiati sul corpo esile, e poi la rapidità con cui sfogliava le
                        pagine, riponeva i registri, apriva nuovi fascicoli, mi davano l'idea che abitasse
                        lì e scendesse ogni mattina da uno dei tanti scaffali che ostruivano l'ingresso
                        alla sala lettura. 
                        Mentre ero assorto in questi pensieri, Cinzia sollevò lo sguardo e mi fissò
                        diritto negli occhi, quasi avesse letto nella mia mente. 
                        "Questo potrebbe essere interessante?" mi chiese, estraendo dai
                        fogli che stava leggendo un piccolo rettangolino di carta. Mi alzai per vedere di
                        che cosa si trattasse. 
                        Credetemi. Cinzia era il risultato casuale delle infinite probabilità che
                        in altre occasioni e con altre persone al mio posto avrebbero fatto gridare al miracolo! 
                        Aveva in mano un sonetto satirico contro re Ferdinando. Sul retro c'era il disegno
                        di un berretto frigio sormontato da due pennelli incrociati e sotto una firma: Filippo
                            Perrone. 
                        Non saltai sulla sedia mettendomi a gridare YAHOO! perché una sala
                        lettura è un luogo serio e silenzioso, ma bastarono i convulsi gesti silenti
                        e l'espressione del viso a far scoppiare quella specie di folletto d'archivio in
                        una sonora risata, che si trasmise contagiosamente alle altre persone presenti. 
                        Mi resi conto di aver fatto la figura del pettegolo alla ricerca del gossip
                        storico, ma non me fregava niente: avevo in mano la prova che Filippo Perrone era
                        un "giacobino" e, quindi, doveva avere più di un nemico che gli
                        avrebbe augurato la morte.
                         
                        Conclusioni affrettate? Forse ...
                     
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