L'OTTOCENTO DIETRO L'ANGOLO - ROMANZO
Copertina Romanzo



MARIA ARCANGELA

Non oso chiedervi di immedesimarvi nella situazione che sto per esporre; fatelo spontaneamente, immaginando di essere seduti su una sedia impagliata e di tenere le mani appoggiate su un tavolino ricoperto con un vecchio panno scolorito, su cui si intravedono appena alcune figure scure e degli alberi.
Il luogo è una stanza maleodorante di sterco di gallina, con il pavimento di terra battuta, e pochi oggetti di cucina appesi alle pareti annerite dal fumo.
Un lumino ad olio lampante fa muovere le ombre che vi circondano di un moto lento che a tratti si interrompe per poi riprendere la sua danza silenziosa.
Soffrite di sinusite cronica che vi ha trasformato il volto in una maschera di dolore con la fronte perennemente aggrottata, il naso sollevato e i denti superiori scoperti. Chi vi sta di fronte dall'altro lato del tavolo non alza mai gli occhi verso di voi, ma vi fa capire che vede qualcuno o qualcosa sopra la vostra testa, che esce o entra dentro di voi. Solo allora, con la bocca aperta per lo stupore, o per vostra naturale predisposizione, confermate di avere dei dolori che vanno e vengono dalla testa fin sotto le arcate oculari.
Chi vi sta di fronte vi interromperà all'istante per dirvi che avete un "affascino". Non è facile toglierlo e dovranno essere recitate molte preghiere, fatti molti sbadigli, congiunte e disgiunte tante volte le mani.
Quanti giorni ci vorranno? Almeno cinque, ma a volte ci vogliono mesi.
L'affascino, per chi ci crede, è una cosa maledettamente seria.
Bene, se vi siete immedesimati troppo in questa situazione, uscitene, per evitare di dover sborsare soldi inutilmente o, peggio, di essere incriminati per omicidio.
Proprio così. Perché la persona che vi sta di fronte, una donna di cinquantotto anni, tra poco ...
... Il calesse guidato da Raffaele al ponte del Medichicchio si capovolse, senza alcun apparente motivo. Nello stesso luogo, esattamente un anno dopo, il cavallo di don Vincenzo si imbizzarrì improvvisamente e lo disarcionò.
Ai mulattieri non capitò mai nulla di tutto questo, perché, qualche metro prima, scendevano dal dorso del mulo e, tenendo ben stretto il morso dell'animale per evitare che si imbizzarrisse, attraversavano a piedi il breve percorso.
Anch'io nel febbraio nel 1955, mentre percorrevo con la Vespa il ponte, non riuscii a controllare lo scooter che finì contro un albero poco distante: nessuno dei tre ne riportò conseguenze.
Certamente le cause degli incidenti erano una curva insidiosa e il luogo acquitrinoso poco soleggiato che manteneva la strada perennemente umida e, d'inverno, ricoperta da un sottile strato di gelo.
Questo è ciò che io credo, ma non posso escludere che all'origine vi fosse anche un certo nervosismo da parte di chi guidava mezzi o animali attraversando quel dannato luogo. O per meglio dire quel luogo dannato.
Oggi il tracciato stradale è stato spostato di qualche decina di metri e nell'area prima occupata dal canneto e dalla via c'è una piccola area di sosta, con un prato, alcune panchine e dei lampioni che la notte illuminano un'area spettralmente deserta.
Fino a mezzo secolo fa nessuno avrebbe osato fermarsi al Medichicchio e chi lo fece, raccontò, portandosi le dita a croce sulla bocca per render fede dinanzi a Dio delle proprie affermazioni, di aver visto sospeso a mezz'aria un volto sanguinante.
Che fondamento aveva una sciocca diceria che ricordava molto un quadro di Gustave Moreau?
La mattina del 27 febbraio del 1935 fu trovato il corpo senza vita di Maria Arcangela, uccisa a colpi di scure.
Chi ebbe modo di vedere il cadavere disse che un'accettata le aveva quasi staccato la testa dal corpo. A quel tempo la scure era un attrezzo molto comune, sia in casa e sia per recarsi nei campi a potare gli alberi o nei boschi a far legna.
I mulattieri la portavano infilata in un lato del basto posto sul dorso dell'animale. Non si scoprì mai l'autore di questo omicidio così efferato ma, stando alle voci che circolarono in quegli anni, pare che all'origine del delitto vi fosse la sottrazione di un piccolo tesoro che la donna teneva in casa.
Chi era Maria Arcangela?
Era nata a Fagnano e la voce popolare la indicava come una fattucchiera. Se facesse sortilegi oppure si limitasse a togliere i cosiddetti "affascini", non lo sappiamo. In ogni caso qualcosa per vivere doveva pur farla, visto che il marito l'aveva lasciata andandosene in America dove si era creato un'altra famiglia.
Non vi dirò con chi, ma la sua nuova sposa era nata a San Marco, era giovanissima e dopo pochi anni i suoi occhi si velarono di tristezza. Che fosse un presagio lo escluderei, fatto sta che una mattina di febbraio del 1931 non si svegliò perché il gas l'aveva uccisa. Nei primi decenni del Novecento era il mezzo più semplice usato dagli Irlandesi per sottrarre alle famiglie italiane i guadagni che tenevano in casa. Nessun sospetto e nessuna indagine: solo un dannato incidente!
Scommetto che state pensando a due possibili cause: una legata ai sortilegi di Maria Arcangela e l'altra ad una sorta di punizione divina! Lasciatemelo dire: sono entrambe due pessime idee. La prima perché vede sempre nella donna il principio del male e la seconda perché non credo che un Dio, chiunque sia, si serva del gas per le sue vendette. Oppure che lasci il lavoro sporco agli irlandesi. A volte mi chiedo che razza di credenti esistono a questo mondo, ma poi ricordando l'armata della santa fede del cardinale Ruffo di Calabria, messa in piedi con avanzi di galera della peggior specie, che stupravano, uccidevano e saccheggiavano, sospetto che anche l'autore -o il mandante- dell'assassinio di Maria Arcangela era devoto di qualche santo e gli irlandesi che aprivano i rubinetti del gas negli appartamenti di Little Italy potevano averlo o non averlo un santo protettore, ma tutti erano cristiani. Tutti.
Bene. Anzi, male. Torniamo, comunque la pensiamo, alla morte di Maria Arcangela. Forse il fatto che togliesse gli affascini poteva anche destare sospetti di chissà quali altri sortilegi, e poi se il marito l'aveva lasciata un qualche motivo doveva esserci, e chissà che cos'altro combinava la donna essendo sola ... Se i motivi della sua morte risiedevano in tutte queste voci la donna avrebbe dovuto subire una lapidazione, invece il suo corpo, trovato in una posizione che alcuni testimoni definirono "sconcia", presentava numerosi "colpi d'ascia".
Contrariamente alle apparenze, però, quel delitto non aveva nulla di passionale perché a provocare la sua morte fu ciò che Maria Arcangela nascondeva gelosamente tra gli indumenti che indossava, come usavano fare tutte le donne.
Oltre ai soldi e a qualche gioiello, le fu sottratto un anello con una frase in una lingua che senz'altro lei non conosceva, visto che non ne conosceva alcuna, tranne il dialetto e qualche parola di un latino inesistente tirata fuori dalle litanie e dai tridui.
Incisa sull'anello vi era una strana figura, che la donna chiamava tra sé "a minchia muscia", alludendo alla forma di un cappelletto dalla punta ripiegata che altro non era se non un berretto frigio.
Avrete capito di quale anello si trattava: quello che avevano portato al dito Domenico Balzano, Francesco M. e il nostromo del brigantino. Da chi l'aveva avuto Maria Arcangela e, soprattutto, chi lo aveva sottratto?
Non so se riuscirò a convincervi, ma cercherò di dimostrarvi che la persona che ebbe l'anello di Maria Arcangela non era il suo assassino e, una volta che vi avrò detto il perché, non escludo che, pur a distanza di tanti anni, qualcuno possa decidere di curiosare in un polveroso fascicolo del 1935 contenente un procedimento penale contro ignoti. Sono certo che ciò accadrà.
 
 

L'Ottocento dietro l'angolo romanzo di Paolo Chiaselotti