  
                     
                     
                     
                     
                 | 
                
                     
                        I NEOZELANDESI 
                         
                        Entrai nel negozio di Piero per comprare una torcia elettrica.
                         
                        Nella vetrina era esposto solo un modello, un po' ingombrante; il restante spazio
                        era occupato principalmente da coltelli di tutti tipi e di tutte le forme.
                         
                        Qualcuno doveva pur comprarli, e mi chiesi chi e perché avrebbe dovuto portare
                        con sé una sorta di coltellaccio a serramanico lungo un quarto di metro.
                         
                        Continuando a tenere gli occhi rivolti a quell'esposizione degna di un museo delle
                        efferatezze, sentii Piero segnalare la mia presenza a qualcuno.
                         
                        "Ecco il professore" disse.
                         
                        Girai gli occhi verso l'interno e vidi solo lui che guardava alla sua sinistra verso
                        una parte del negozio nascosta al mio sguardo. 
                        "Chi mi cerca ..." chiesi, sperando che non si trattasse ancora
                        di ...
                         
                        "Due forestieri" disse Piero dando sostanza ai miei timori, che
                        si materializzarono in un giovane e una donna, forse sua madre.
                         
                        "Professor Ciaselotti?" chiese quest'ultima rivelando un chiaro
                        accento inglese. 
                        "Kiaselotti, please" la corressi.
                         
                        Si avvicinò e mi porse la mano presentandosi: "OK, I'm Karen, and Christian
                            is my son."
                         
                        Entrambi mi sorrisero. Christian e Piero si scambiarono subito dopo uno sguardo
                        d'intesa. 
                        Sapevo già chi erano le due persone: erano le stesse che si erano soffermate
                        a guardare verso le finestre di casa mia e poi dinanzi allo stesso negozio in cui
                        si trovavano ora. 
                        Ero stanco di essere inseguito, minacciato, spiato da persone che arrivavano da
                        luoghi così lontani. Due arrivati dal Brasile, una dagli Usa e questi ... 
                        Come al solito sembrava che tutti avessero la capacità di leggere nei miei
                        pensieri, anche Karen che aggiunse subito dopo le presentazioni: "We came from
                            New Zealand ". 
                        Avrei avuto voglia di dirle che non me ne fregava niente, che conoscevo il vero
                        motivo della loro presenza a San Marco, che se volevano continuare nella loro anacronistica
                        vendetta ... mi limitai a fare un gesto provocatorio verso quel giovane dal nome
                        inappropriato. Gli indicai un grosso coltellaccio chiedendogli se avesse preferito
                        quello per uccidermi: " Do you prefer that knife to kill me?! " 
                        Karen e il figlio scoppiarono in una fragorosa risata, e Christian confermò
                        i miei dubbi mimando un ripetuto gesto di accoltellamento.
                     
                 | 
            
            
                | 
                     
                        Rise anche Piero, il complice. 
                        All'improvviso una voce conosciuta mi chiamò: "Professore Kiaselotti,
                            come ... stai?" 
                        Era Kathrin, l'americana.
                         
                        "What are you doing here?" le chiesi, senza evidenziare lo stupore
                        che mi rendeva profondamente inquieto, soprattutto perché tutti, dico tutti,
                        dimostravano di essere in confidenza con quel dannato discendente di calderai di
                        Piero. 
                        Provai a buttarla lì per vedere se i miei timori erano fondati: "Are
                            all you Gi of Em Ef?" 
                        "Yes, we are Gi of Em Ef!" risposero quasi simultaneamente, con
                        un sorriso divertito sulle labbra chiedendomi se lo fossi anch'io. "You too?" 
                        Pazzesco. Erano lì, convinti della loro missione. Quasi due secoli, dopo! 
                        "Nooo!" gridai, dichiarando la mia opposta visione "I'm your
                            enemy."
                         
                        I tre stranieri risero tutti. 
                        Piero sorrideva.
                         
                        Lo conoscevo da quando era nato. Anch'egli era stato un mio alunno e ora me lo trovavo
                        contro, in combutta con altri suoi simili! 
                        Avevo trovato tracce sicure della sua appartenenza sanfedista: due piccole mensole
                        di una edicola posta sulla sommità della cappella di famiglia recavano impresse
                        due croci latine, segni inequivocabili della affiliazione. E poi il suo strano modo
                        di chiamare alcune cose, come "triolfa", "cittedda",
                        "gresia", "scuriulientu", "putriana",
                        era segno che conosceva fin troppo bene il linguaggio dei calderari e che non aveva
                        perso i contatti con la nuova consorteria. 
                        Non sapevo dove si riunivano, ma il retrobottega a cui si poteva accedere anche
                        da una porta laterale sul vico della Giudecca era il posto ideale per convegni segreti. 
                        "Professore" disse, interrompendo i miei pensieri "sa che Kathrin
                            ed io siamo parenti ?"
                         
                        Poi, senza aspettare una risposta, continuò: "L'ho portata un po' in
                            giro per il paese," continuò, mentre io avrei voluto tapparmi
                        le orecchie "ha visto la torre, la fontana di Sikelgaita, le cripte, l'abbazia
                            della Matina ..." Quindi aggiunse, strizzandomi un occhio: "... anche
                                la porta con la Gi di Emme Effe ..."
                         
                        "Certo" risposi mascherando con una battuta la rabbia che mi stava
                        ribollendo in corpo "tra calderari e rannari vi intendete alla perfezione! 
                        " 
                        Piantai tutti in asso e mi diressi a passo veloce verso il municipio. Quel giorno
                        era chiuso al pubblico.
                         
                        L'usciere mi riconobbe e mi aprì la porta. "Chiudi subito"
                        gli dissi appena entrato.
                         
                        Potevo ben dire che a salvarmi, in quella circostanza, era stato il Diavolo, come
                        era soprannominato il brav'uomo.
                         
                         
                     
                 |