L'OTTOCENTO DIETRO L'ANGOLO - ROMANZO
Copertina Romanzo



ORONZIO PENSO

La scomparsa del soldato francese non passò inosservata, nonostante fossero tempi in cui la morte poteva aggirarsi indisturbata tra civili e militari, senza che a qualcuno venisse in mente di chiedersi che fine avesse fatto questa o quella persona. Tuttavia, nel caso di Fortedato c'era un motivo valido perché il Commissario di Guerra si interrogasse sulla sorte del giovane soldato che aveva inviato in un piccolo paese della Calabria Citra, Sammarco, con il compito di avere informazioni sulle simpatie politiche di alcune famiglie.
Perché proprio a Sammarco? Perché in questo borgo di origini normanne vi abitava qualcuno con lo stesso cognome del famoso cardinale che circa dieci anni prima aveva sterminato i repubblicani giacobini.
Chi era? Si chiamava don Giuseppe Ruffo, era uno speziale, cioè un farmacista, aveva uno zio arciprete ed era imparentato con gli Ajello, una famiglia di "mercadanti" di seta oriunda di Positano; tutti con simpatie per il deposto re Ferdinando di Borbone.
Anche il sindaco don Nicola Campagna "puzzava di santità", come con disprezzo i giacobini indicavano coloro che avevano dato aiuto e appoggio alla crociata della santa fede organizzata dal cardinale Ruffo contro i repubblicani.
Fortedato aveva alcune competenze che lo rendevano idoneo nel compito di esploratore: conosceva alla perfezione il territorio e sapeva cavalcare. Inoltre, aveva alcune doti fisiche e caratteriali che lo rendevano altrettanto idoneo per un particolare incarico: fare la spia. Sapeva sopportare il freddo, la fame, la sete, il dolore fisico e soprattutto sapeva fingere, cioè sapeva apparire diverso da ciò che realmente era. Infine, per il particolare incarico che avrebbe dovuto svolgere, era pure bello e prestante nel fisico.
Quest'ultima dote sapete già a quale guaio irreparabile lo condusse, ma ciò che non sapete è il fatto che egli era riuscito ad accreditarsi presso la famiglia sammarchese come traditore della causa francese e disposto ad abbracciare senza riserve quella borbonica. Fingendo di dare informazioni sui movimenti del terzo reggimento di linea napoletano, a cui apparteneva, aveva il compito di scoprire chi fossero le famiglie con simpatie borboniche e se tra esse vi fossero cospiratori.
La missione, come sappiamo, non fu mai portata a termine e il Commissario di Guerra pensò bene di inviare un altro soldato per indagare sulla sparizione di Fortedato e sui complotti politici che alcuni galantuomini sammarchesi ordivano contro il re Gioacchino Murat.
Erano stati segnalati conciliaboli sospetti nei quartieri di Sir Andreace, del Critè, di Santo Petruzzo, del Puzzillo e alla Piazza di sopra, ma nessuno poteva dire con certezza presso quale casa avvenissero gli incontri, anche perché non era escluso che i congiurati potessero utilizzare per i loro scopi conventi e chiese sconsacrate.
L'incarico di indagare sulla fine del primo esploratore e sulle famiglie sospette fu affidato ad un soldato di nome Oronzio, nato a Napoli.
Arrivò a Sammarco una sera di febbraio da Padula, dopo aver cavalcato per un'intera giornata.
Giunto al posto di guardia alla Porta Santo Marco scese da cavallo e mostrò il lasciapassare che aveva con sé, quindi chiese dove fosse l'ospedale.
Gli fu detto che era ad un centinaio di metri, sulla sinistra, al quartiere della Porta Vecchia e una della guardie urbane lo avrebbe accompagnato.
Dopo essere rimontato a cavallo sollevò lo sguardo verso il maestoso arco di ingresso che si accingeva ad oltrepassare e vide tre teste muliebri in pietra, ornate di croce e diademi, due collocate alle imposte del fornice e la terza sulla chiave di volta. Sulla trabeazione il bassorilievo di uno stemma araldico indicava che la città era stata un feudo importante e ciò significava che i francesi non erano persone gradite, visto che proprio loro avevano abolito gli antichi privilegi.
Si soffermò a guardare i tre busti di donna con il seno scoperto.
Il collo di quella in alto, al centro, era ornato di una collana che reggeva una croce, posta tra i seni. La scultura di sinistra raffigurava una donna il cui capo era coperto da una stretta fascia che ricadeva sulle spalle formando due volute, mentre la fronte era cinta da un'altra fascia su cui si distinguevano delle perle e un piccolo pendaglio. Al collo aveva una corta collana con un diadema, alle orecchie dei pendenti e i capelli, ben curati, erano posti secondo una studiata simmetria sia sulla fronte che sui lati. Sul volto enigmatico della figura, che si reggeva o offriva le sue turgide mammelle con le mani, il soldato scorse un'espressione a metà tra un sorriso e una smorfia di dolore.
Il terzo busto gli parve che volesse farsi beffe di lui. Oronzio si accostò al lato destro dell'arco di ingresso, si sollevò sulle staffe e vide che la figura mostrava la punta della lingua attraverso le labbra sottili e aveva una croce sul petto.
"Troppe croci" pensò.
Passando sotto l'arco disse a bassa voce "Merde!", dopo aver fatto uscire dalle labbra un piccolo sputo arrotato, come aveva imparato dai commilitoni francesi.
Mentre attraversava il breve tratto che lo separava dall'ospedale, preceduto dal milite con una lanterna sollevata, scorse sulla destra, alla Giudecca, una donna intenta a parlare con una terza guardia che stava al di qua della porta dalla quale era appena entrato. Uno scialle che le copriva il capo gli impedì di vederla in volto. Il corpo gli parve quello di una giovane.
Attraversando un tratto della piazza di Sopra ebbe l'impressione di trovarsi in un paese disabitato. La guardia lo salutò tornando indietro e lasciandolo ai piedi di una scala di un lungo edificio dalle cui finestre filtrava una debole luce. I lamenti che sentì provenire da una porta appena accostata gli confermarono che era giunto all'ospedale.
Non fu accolto da nessuno e si incamminò lungo il corridoio dove erano posti su brande o su giacigli a terra poveri disperati. Sul pavimento sputi e sangue. Sentì una voce femminile alle sue spalle che lo chiamava. Si voltò: dallo scialle e dalla figura riconobbe la donna che aveva intravisto poco prima, che gli faceva cenno di seguirlo. Lo fece entrare in una stanza dove c'erano un letto, una sedia e un comodino su cui erano poste alcune immagini sacre, un libro di orazioni, un rosario e una lampada ad olio. Sulla parete, sopra il letto, un grande crocifisso che in parte copriva una vistosa crepa nel muro.
Apprezzò il lieve tepore che gli veniva dalla vicinanza della giovane donna e si chiese perché continuasse a tenere stretto lo scialle con entrambe le mani sotto il mento, come ad impedire che oltre al viso si potesse scorgere altro. Tolse ciò che era sul comodino tranne la lampada e porse il tutto alla donna, che istintivamente lasciò lo scialle e aprì entrambe le mani. L'indumento le scivolò a terra e rimase immobile davanti allo sconosciuto che la fissava incredulo.
I capelli di lei erano completamente rasati.
Oronzio si chiese perché mai un ragazzo si fosse vestito da donna e temendo il peggio estrasse la spada puntandola sul petto della persona che gli stava di fronte, tremante, con i pochi oggetti stretti fra le mani.
"Sono suor Maria Francesca" disse con voce quasi impercettibile. Oronzio si ricordò che le suore erano state ridotte allo stato laico e alcune prestavano la loro opera presso ospedali e opere pie. Raccolse lo scialle, glielo rimise sulla testa e le ordinò di uscire dalla "sua" stanza con tutte le sue cianfrusaglie.
Capitava, e capita tuttora, che le proprietà passino di mano anche tra vivi, senza alcun contratto, ma solo in virtù della forza che il nuovo proprietario può imporre all'altro.
Forse ho perso troppo tempo per descrivere ciò che accadde nell'intervallo di pochi minuti ad Oronzio, ma era indispensabile per farvi rendere conto che il tempo è sempre relativo e che le ore successive del soldato napoletano, pur essendo le ultime della sua vita, non furono così intense di riflessioni.
Quello che apprenderete tra poco è veramente inaudito, orribile e disumano.
 
 

L'Ottocento dietro l'angolo romanzo di Paolo Chiaselotti