L'OTTOCENTO DIETRO L'ANGOLO - ROMANZO
Copertina Romanzo


IL BANDITO SILVES

Nell'assegnare un nome a coloro che commettono delitti, a coloro che li acciuffano e a coloro che li giudicano, usiamo le parole assassino, guardia e giudice, ma non è altrettanto semplice stabilire se le figure anzidette svolgano esattamente il ruolo che abbiamo loro assegnato.
Lo dimostra la vicenda che leggerete, documentata nell'archivio di stato di Cosenza.
Il fatto non accadde a Sammarco, ma nella storia c'è un tal Domenico Domanico, che abitava nel nostro comune.
Come ogni mattina Domenico, il 10 novembre 1856 -era un lunedì- si recò nella caserma, un piccolo locale vicino la torre, per svolgere il suo turno di servizio di guardia urbana. Qui fu raggiunto da due gendarmi reali che gli chiesero di accompagnarli in un servizio di perlustrazione nella zona di Fagnano, sollecitato dall'intendente della provincia, con lo scopo di catturare Don Domenico Silves.
La nostra guardia urbana si meravigliò di questo ordine che proveniva direttamente dall'Intendente, perché ricordava che due mesi prima lo stesso ordine era stato impartito dal giudice regio.
Il comandante dei gendarmi gli spiegò che bisognava a tutti i costi catturare vivo o morto "quell'infame ladro", perché c'erano prove sufficienti che avesse fatto parte della "combriccola" che aveva commesso sequestri nel Circondario di San Sosti.
Si meravigliò anche del fatto che "l'infame ladro" fosse chiamato come i preti e i galantuomini: Don Domenico.
Partirono, raggiunsero il territorio di Fagnano e trovarono alla periferia del paese la persona che cercavano. Era solo.
Domenico Domanico non lo conosceva, ma era certo di averlo già visto. Non ricordava quando, ma ricordava dove: almeno due o tre volte aveva varcato il portone di casa di una importante famiglia di Sammarco, nel quartiere del Puzzillo.
Il Silves non fuggì, ma cercò, da solo, di attirare i tre in un luogo impervio. Poi estrasse una pistola e ferì da una certa distanza il comandante dei gendarmi che cadde, non per la ferita, che era grave, ma per uno sterpo su cui incespicò. Il bandito, anche in questa occasione, non fuggì, ma si accostò al gendarme per colpirlo con un coltello, mentre gli altri due erano a pochi passi. Uno dei due, la guardia urbana Domenico Domanico in quel momento fu lesto a scaricare il proprio schioppo sul "ribaldo" che colpito a morte morì dopo pochi minuti.
C'è qualcosa di poco chiaro in tutta la vicenda e riguarda questa strana uccisione.
Domenico Silves, di fronte a tre militi che vogliono catturarlo, invece di fuggire, li attira in un tranello. Dopo averne ferito uno, invece di approfittare dell'occasione per far perdere le sue tracce, considerato che le altre due guardie non l'avrebbero inseguito perché impegnate a soccorrere il compagno, avanza per colpire con un coltello l'uomo ferito a terra, pur sapendo che gli altri due poco distanti gli avrebbero sparato addosso.
Certamente le cose andarono diversamente da come furono raccontate, ma non sapremo mai la verità, perché il rapporto del comandante dei gendarmi al giudice conteneva già le conclusioni che la giustizia del tempo richiedeva: "l'infame ladro è stato liquidato"!
Nell'informativa non era fatto alcun cenno ad un tatuaggio impresso sul dorso della mano destra del bandito, ma Domenico Domanico ricordava benissimo di aver notato quella strana sigla, G.di M.F. e di aver pensato, per un istante, essendo egli una guardia urbana, che la prima lettera poteva essere l'iniziale della parola Guardia. Ne parlò con il giudice e con un superiore, ma nessuno dei due diede peso a quel particolare insignificante, anzi gli fu caldamente raccomandato di non parlare più di questa faccenda e neppure di quel "ricattatore" di galantuomini.
 
 

L'Ottocento dietro l'angolo romanzo di Paolo Chiaselotti