L'OTTOCENTO DIETRO L'ANGOLO - ROMANZO
Copertina Romanzo




Un "Gi di Emme Fe"

Raccolsi tutte le mie capacità di analisi: in pochissimi secondi diedi una spiegazione logica a quella traccia impossibile.
Mi girai di scatto, in tempo per scorgere una persona che mi fissava con occhi inespressivi e un sorriso che lasciava scoperti solo pochi denti. Sulla pelle glabra, lievemente ambrata, sembrava che fosse passato un ferro da stiro.
Mise una mano in tasca ...
Gli fui addosso con i miei cento chili prima che potesse estrarla.
Cadde su un lato, sopra il divano dietro di lui. Gli afferrai il braccio e glielo girai con forza dietro la schiena, premendogli il viso sul cuscino. Mi ricordai della scena del duello a cui avevo assistito da ragazzo e mi rividi simile a quell'individuo che digrignava i denti come un cane.
Mia moglie era lì, impietrita; non poteva aiutarmi e certamente si era resa conto di essere stata la causa involontaria di quell'intrusione che mi sarebbe potuta costare la vita: aveva la maledetta abitudine di lasciare la porta socchiusa quando usciva. "Senhor, por piedade ..." invocava lo sconosciuto con una voce che tradiva le sue vere intenzioni.
"Es um ge de éme éfe? Fala!" gli urlai a pochi centimetri dal viso che stava diventando paonazzo.
"Sim ... Sim ... Sim" ammise con il fiato che gli usciva a stento "eu ... sou ... sou um...je ... de... de ... mefe!"
Mia moglie, con una pietà fuori luogo, accorse in suo aiuto.
"Paolo, lo stai soffocando. Basta!" gridò in preda ad una crisi isterica.
"È un gi di emmeffe, lo capisci!!" le urlai sapendo benissimo che non avrebbe capito di cosa stavo parlando.
Allentai la presa e gli lasciai il braccio, allontanandomi di qualche passo, ma assumendo la posizione di chi sa usare le nude mani come armi micidiali.
Lo sconosciuto ne approfittò per alzarsi con uno scatto. Si lanciò verso l'uscita, inciampando ma continuando a mantenere l'equilibrio. Mi gridò qualcosa che non riuscii a comprendere e che mi parve una minaccia, o una maledizione:
"Raios te partam!"
Sporsi con precauzione la testa dalla porta spalancata. Di lui, tranne un vistoso sputo in fondo alla scala, non vi era più traccia.
Mi venne alla mente il primo incontro con l'altro brasiliano e la paura che mi aveva costretto a chiudermi in casa. Pensai anche con una certa vergogna allo sfogo ridicolo di allora.
Adesso avevo dimostrato a me stesso di saper reagire e di non temere le loro azioni, spietate e assurde.
"Voglio vedere se questo bastardo oserà farsi ancora vivo!" pensai.
"Verrà di nuovo ..." disse preoccupata mia moglie alle mie spalle mentre osservavo quello sputo "... magari con l'altro, quello che ha una cicatrice. Mi sono parsi entrambi molto decisi!"
Girai la testa verso di lei, senza dire una parola.
Ne sapeva molto di più di quanto immaginassi! Alcuni giorni prima aveva fatto entrare l'uomo con la cicatrice, accompagnandolo addirittura fino ai piedi del letto dove giacevo per l'aggressione nell'archivio diocesano. E adesso ...
Cominciai a dubitare che avesse dimenticato di chiudere la porta.
La costrinsi a dire la verità fingendo di conoscerla anch'io:
"Perché lo hai fatto entrare?"
"Perché lo hai fatto entrare? Io?!" rispose accentuando con la voce e con gli occhi lo stupore per la colpa che le addebitavo.
"Sei tu che hai creato questa situazione impossibile!" mi accusò senza motivo, aggiungendo:
"Ieri ho visto altre due persone attraversare la piazza e guardare verso le nostre finestre ..."
"Chi erano?" chiesi abbassando il tono della voce e cercando di non manifestare alcuna preoccupazione.
La sua voce, invece, roca per il fumo e per lo sforzo di gridare, non cambiò.
"Quelli che ti cercano per queste maledette storie che hai tirato fuori ..." disse, quasi senza prendere fiato, e dopo alcuni colpi di tosse:
"... si presentano con le orribili foto dei morti ..."
Poi si lanciò verso di me, abbracciandomi alla vita per quanto poteva, data la mia circonferenza. Con la testa appoggiata sul petto mi disse: "Paolo, che sta succedendo? Eravamo così felici prima che cominciasse questa cosa orribile ..."
"Ti prego..." continuò "... lo sai che mi fanno paura ... mi fanno paura ...La notte ..."
La interruppi ponendole una mano sulla bocca. La sua voce si stava esaurendo e i colpi di tosse erano diventati più frequenti.
Aveva ragione. Non doveva essere piacevole vedere quei volti sfigurati.
Io, che conoscevo cause e origini della storia, non avrei dovuto coinvolgerla. L'unico dubbio che mi rodeva dentro era se sapesse più di quanto mi diceva e, in tal caso, quale segreto mi nascondeva.
Il fatto che mia moglie, una vita trascorsa assieme, senza problemi, dall'amore alla consuetudine della quotidianità, interrotta da qualche impeto notturno, potesse tradirmi era un'idea che scartavo senza riserve. Non mi riferisco ad altri uomini, perché ero convinto che era in un'età in cui l'ammirazione non ha l'energia sufficiente per trasformarsi in infatuazione, e soprattutto perché perdeva troppo tempo nel prepararmi piatti raffinati. C'erano anche altri segnali di attenzione verso di me: voleva che fossi sempre curato nell'aspetto e nel vestire. Mi guardava spesso le mani, mentre le parlavo di qualcosa, interrompendomi, quasi non le importasse ciò che dicevo, per dirmi che dovevo tagliarmi le unghie e stare su con le spalle!
I segnali del tradimento sono evidenti, solo che i mariti, troppo distratti dai loro impegni, non si accorgono della sopraggiunta distrazione delle mogli. E viceversa. Non era il nostro caso. Ciò nonostante, avvertivo che qualcuno, o qualcosa, occupava una parte dei suoi pensieri.
Dopo alcuni minuti di assoluto silenzio, le chiesi di descrivermi le due persone che guardavano verso le nostre finestre.
" Lei aveva i capelli chiari e il giovane, che doveva essere suo figlio, poteva avere circa venti anni. Parlavano inglese." rispose senza alcuna voglia di narrare altri particolari, come usava fare quando l'argomento non era di suo interesse.
"E poi che cosa hanno fatto?" la incalzai, sperando mi riferisse qualche particolare utile a capire chi fossero queste persone che si interessavano di noi. O di me.
"Niente, hanno proseguito di qualche metro e lui, il giovane, si è fermato a guardare i coltelli esposti nella vetrina del negozio di Piero" rispose, avviandosi nell'altra stanza.
"... e Piero lo ha salutato come se si fossero incontrati ..." aggiunse ormai lontana senza che potessi sentire il seguito della frase.
"... per la seconda volta" conclusi tra me. Era la conseguenza logica del suo racconto.
Una situazione senza alcun apparente risvolto. Uno straniero, che parla inglese, giunge a San Marco con una donna più grande di lui. Entrambi si soffermano a guardare la casa dove abito, poi -guarda il caso!- il giovane si ferma davanti il negozio di Piero, il quale lo saluta come se lo conoscesse.
Tutto normale. Tranne un fatto.
Piero discendeva da una stirpe di calderari di Dipignano!
 
 

L'Ottocento dietro l'angolo romanzo di Paolo Chiaselotti