L'OTTOCENTO DIETRO L'ANGOLO - ROMANZO
Copertina Romanzo






SOSPETTI INFONDATI

Approfittai di quegl'interminabili minuti di silenzio per affrontare l'argomento sui fatti che mi angosciavano e che traevano origine proprio dal luogo in cui mi trovavo.
Volevo esternare tutti i miei sospetti sulle persone che erano ospitate al seminario.
"Se permette, eccellenza, avrei alcune domande da farle su un'altra faccenda" dissi avendo dinanzi agli occhi l'immagine terrificante del brasiliano con la cicatrice e la figura enigmatica dell'americana.
Accennai a quest'ultima e prima di completare la frase ebbi già la risposta:
"Ah, Kathrin, la pronipote di monsignore. Ci sta dando una mano a trovare le prove della santità del suo antenato attraverso le lettere di coloro che si rivolgevano a lui per avere conforto e aiuto. Molte provenivano dagli Stati Uniti."
Sentendo quella semplice e inaspettata verità, mi diedi dell'imbecille. E del cretino. Come sempre, però, da ragionatore.
Pensai all'etimologia dei due epiteti che mi meritavo, per vedere quale dei due si addicesse al mio caso. Il primo derivava dall'essere "sine baculo", senza bastone, quindi privo di un sostegno. E quale sostegno più solido della ragione avrei dovuto avere!?
In quanto al cretino, era impossibile che lo fossi dato che la parola derivava da "cristiano"!
In parte rincuorato, cercai di recuperare la memoria dei miei comportamenti.
Per puro caso non avevo avuto il tempo di esternare i miei dubbi a quella cara ragazza, che ora alla luce della rivelazione, mi appariva in tutta la sua dedizione: la mano che mi porgeva la bottiglia di Gatored, l'espressione di pietà per l'incipiente malessere che mi stava sopraffacendo, la soddisfazione nell'apprendere chi fossi ...
La conferma mi venne dalle parole del vescovo:
"Kathrin parla sempre di te e del tuo sito che le ha permesso di scoprire le sue origini. Mi ha detto che non stavi bene ... "
Mi vergognai. Profondamente. Tutto, tornandomi alla mente, mi provocava un'indicibile sofferenza interiore, ma nello stesso tempo era una sorta di viatico liberatorio. Ero sceso nelle tenebre e ne ero riuscito illuminato, avevo toccato la morte con mano e attraverso essa avevo scoperto la vita.
Il timore che stessi per convertirmi mi fece rabbrividire.
L'accenno del vescovo alla mia salute mi poneva nuovi, inquietanti interrogativi.
Cercai di capire se le sue ultime parole si riferissero allo svenimento o ad altro.
"Si è vero, quella volta al cimitero ... " cominciai a dire per scoprire quanto egli sapesse sul mio male incipiente.
"Anche don Francesco, l'altro ospite del seminario ... " aggiunse il vescovo.
"Chi è?" chiesi, ben sapendo che si trattava del brasiliano.
"Il sacerdote con cui hai parlato in via Iulia. Mi ha riferito del tuo accenno al mor ... " pareva che non volesse pronunciare le ultime parole.
Come se la malattia a cui si riferiva, il morbo di Parkinson, fosse in quel momento l'ultimo dei miei pensieri, manifestai tutto lo stupore nell'apprendere che lo sfregiato fosse un prete.
"Veramente quella cicatrice, quel modo di fare e di vestire ... e il coltello che portava in tasca mi avevano dato l'impressione che fosse tutt'altro che un uomo di Dio."
Sperai per un istante di non essermi sbagliato anche in questa occasione, appeso all'idea che almeno quell'individuo fosse un mezzo delinquente!
Lo so che non c'è nulla di razionale in ciò che dico, ma pensate al crollo esistenziale di chi, come me, in meno di un'ora è stato testimone di tre rivelazioni in un episcopio.
L'inizio della risposta mi diede un filo di speranza.
"In effetti anche a me aveva fatto la stessa impressione, e poi, tu certamente lo sai ... " disse il vescovo, abbassando la voce e avvicinandosi a me, quasi temendo che qualcuno potesse sentire quanto diceva " ... è il pronipote di Schella."
"Certo che lo so. Oltre alle ricerche genealogiche, ho trovato una deliberazione del 1864 che parla della sua scarcerazione e del terrore che il suo nome incuteva. E se non sbaglio anche qui, in diocesi, aveva fatto una visita ... "
Conoscevo tutti i risvolti di quella storia e avrei continuato con tutti i dettagli se il vescovo non mi avesse interrotto:
"Esatto, dom Franco, don Francesco Chimenti, è venuto apposta dal Brasile per riparare a quel furto sacrilego: ci ha riportato la croce argentea che il suo omonimo antenato aveva rubato a monsignor Parladore."
Non so spiegarvi il motivo della mia soddisfazione e certamente anche Sua Eccellenza dovette notare qualcosa di strano sul mio volto, perché di colpo, sollevando gli occhi al cielo, implorò su di me la benedizione divina.
Quindi non avevo tutti i torti. L'ombra di Francesco Chimenti, alias Schella, ladro e manutengolo si allungava fino ai giorni nostri e chi sarebbe stata la prossima vittima? Io! Altrimenti perché l'uomo che avevo di fronte avrebbe chiesto per me una protezione superiore?
Non sapevo se essere contento o se preoccuparmi maggiormente. Certamente la mia espressione del volto era cambiata, perché il vescovo riprese subito dopo:
"Comunque, non ha niente a che fare con le famiglie che noi conosciamo oggi a San Marco"
Convinto che il reverendo brasiliano avesse ereditato, oltre al crocefisso rubato, anche qualche aspetto caratteriale dal suo antenato, chiesi: "E la cicatrice?"
"Non te lo ha raccontato?" disse, ignorando i miei sospetti e le mie paure.
Risposi che in un incontro fortuito mi era sembrato troppo interessato al luogo dove abitassi, e poi ...
Come se non mi avesse ascoltato, il vescovo mi diede la spiegazione del taglio.
"Una vendetta del racket della prostituzione. Si era rifiutato di consegnare all'organizzazione criminale due ragazzi che avevano chiesto asilo nella sua canonica."
"Due ragazzi?!" chiesi.
"Certo, meninos de rua" disse "le prime vittime nel traffico di vite umane ... "
Possibile che avessi scambiato una persona così generosa per un volgare assassino?
Non ancora convinto chiesi se in Brasile i sacerdoti bruciavano tutto ciò che veniva a contatto con il loro sangue.
"No, lui lo fa perché è sieropositivo e teme di contagiare gli altri" fu la risposta.
Razionalmente mi dovetti pentire di due cose. Di ciò che avevo detto prima e del gesto dedicato a quell'uomo quando mi rifugiai in casa in preda al terrore.
Pensai che in fondo non mi aveva visto nessuno e che nessuna mia parola poteva aver tradito le mie convinzioni, ma ciò nonostante non mi sentivo affatto tranquillo.
Ogni qualvolta la ragione registrava una sconfitta, la mano cominciava a muoversi, quasi a voler segnalare a me stesso -e purtroppo anche agli altri- che avevo torto. Fu così anche in quel momento. La ragione vacillava sotto l'evidenza dei fatti e la mano segnalava la sconfitta.
Strinsi le dita: la razionalità riprese il sopravvento e il tremore si attenuò.
Accettai quest'altra rivelazione senza ulteriori dubbi: il brasiliano era giunto in Italia per restituire ciò che il suo antenato aveva rubato! Bene, ... e l'altro?! quello che mi aveva lanciato la terribile maledizione, "Rajos te partam!", che ancora mi risuonava sinistra nella mente, che cosa era venuto a fare?
Perchè si era introdotto in casa e accostato alle mie spalle se non per ... mettermi un laccio al collo, infilarmi una lama nella schiena, spararmi un colpo a bruciapelo o ...
La mano cominciò nuovamente a tremare. La misi in tasca.
Tenni per me ogni altro dubbio per evitare che mi venisse impartita una ennesima rivelazione!
Mentre il prelato mi accompagnava all'uscita lo ringraziai per avermi chiarito alcuni dubbi. Solo allora mi accorsi che era già buio.
"Attento alle scale, Paolo" fu l'unico consiglio che mi diede il vecchio amico.
Lo ringraziai estraendo all'istante la mano dalla tasca e toccando il ferro del passamano.

 
 

L'Ottocento dietro l'angolo romanzo di Paolo Chiaselotti