L'OTTOCENTO DIETRO L'ANGOLO - ROMANZO
Copertina Romanzo

GESUALDA

Anche quest'ultima morte non destò alcuna impressione a San Marco, pur essendo il giovane Crescenzo abbastanza conosciuto.
Perché quella orribile esecuzione?
Crescenzo e il giovane di Compiano subirono la stessa sorte per il fatto che entrambi avevano manifestato idee politiche contrarie ai Borboni e un particolare interesse per il corpo di Gesualda. A dire il vero ci fu anche una terza persona che mostrò interesse per il suo corpo, ma solo per motivi professionali. Era un giovane pittore, di cui parlerò appresso.
Di questa donna sapete già alcune cose: era bella, era sposata con Saverio, rinchiuso nelle galere di Napoli, aveva un figlio, morto tragicamente all'età di sette anni, era la "druda" di mastro Domenico, il calzolaio.
Ciò che non sapete è che Gesualda era l'amante di due "mastri". Uno, calzolaio, dalle mani ruvide, taciturno e violento, che la proteggeva e non le faceva mancare nulla, l'altro, sarto, giovane e allegro, con delle mani piccole e delicate come quelle di un bambino. Entrambi avevano in ugual misura le sue grazie, non perché fosse la Taide dantesca, ma perché avendo scoperto tardi il piacere di essere accarezzata, voleva provare entrambe le sensazioni: i modi spicci e rudi di Domenico e gli altri, gentili e prolungati, di Crescenzo.
Il marito prima di essere messo in catene le aveva fatto provare un'unica emozione: una tarantella intorno ad un albero della libertà, e poi, ascoltate alcune parole incomprensibili che volevano essere la celebrazione di un matrimonio, si ritrovò a letto con un uomo quasi sconosciuto, completamente ubriaco, che le fece un gran male e le si addormentò di sopra. Costui tentò di ripetere la stessa esperienza il giorno successivo alla nascita del bambino, non la tarantella, perché l'albero della libertà era stato tolto dalla piazza, ma un approccio con la moglie.
Non voleva sentir ragione e le urla furono udite dall'esterno. Domenico lo trovò senza calzoni mentre cercava di salire sul letto dove Gesualda giaceva ancora debole per il parto. Lo convinse a vestirsi e ad uscire per bere un bicchiere di vino nella taverna di Leonardo.
Quando fu riaccompagnato a casa, Saverio vi trovò due guardie urbane, con due pistole in mano e l'occorrente per usarle. Non seppe spiegare loro, ma neppure a se stesso, perché le tenesse nella cassa, sotto la legna da ardere.
Dopo aver raccomandato a Domenico la sua Gesualda, fu condotto in catene a Cosenza, preceduto da un'informativa sulle sue simpatie giacobine. Il giorno seguente dovette proseguire il viaggio verso le galere di Napoli.
Da allora il calzolaio divenne il geloso tutore della donna, convinto di esser ripagato dalla gratitudine di costei per averla liberata da un marito rozzo e bestiale e per consentirle, assieme al figlio, una vita dignitosa.
Crescenzo entrò nella vita di Gesualda per caso, dopo alcuni anni. Cucì delle braghe a Nino, le smontò e le rimontò un paio di volte e quattro volte prese le misure, stando accovacciato vicino alla donna seduta con il bambino in piedi sulle gambe.
In una di queste occasioni le disse che sembrava una madonna e le toccò con la sua piccola mano un ginocchio. Poi portò lentamente alle labbra le dita che avevano osato tanto e vi impresse un bacio, come si usa fare con le statue dei santi. Fu l'inizio.
Gli incontri avvenivano nella bottega di lui, quando lei gli portava i panni lavati al fiume. Ne usciva dopo pochi minuti con la sensazione di avere ancora sul viso e sul collo le carezze impercettibili delle sue dita; sulle labbra inturgidite e appena dischiuse manteneva piacevolmente una leggera bolla di saliva che era il lento distacco dal suo uomo.
A casa, nella sua unica stanza, sul letto, con una pezzuola candida, già umida e odorante di altro umore, si asciugava la traccia lasciatale dal tenero amante.
Poi estraeva dalla tasca un piccolo foglio di carta su cui Crescenzo le aveva scritto una poesia e, fingendo di comprenderne lo scritto, ripeteva ciò che lui le recitava ogni volta prima dell'amplesso:
"L'uocchi tua su' cumi dua palummi,
i capiddri cumu nu mantu i crapi,
i dienti cumi tanti picureddre,
i labbra su nu filo scralatto,
i minni cumi dua cirbieddri"
Chiudeva gli occhi e sorrideva; quelle parole le davano la sensazione di essere sollevata dagli angeli oltre il tavolato del soffitto, nero come la pece.
Lei non lo sapeva, ma i versi che il suo amante le aveva dedicato non erano proprio originali ...
Quando venti anni dopo un giovane pittore, le chiese di posare per un'Addolorata, si ricordò delle sue estasi e del fatto che anche Crescenzo l'aveva paragonata ad una madonna. Non attribuì mai alcuna intenzione peccaminosa alle sue azioni, neppure quando don Salvatore, nella confessione, le chiedeva insistentemente, con un tono di voce che non lasciava dubbi sul motivo di tanta curiosità, che cosa andasse a fare nella bottega di Crescenzo.
Il giovane pittore, che poteva essere suo figlio, le restituì la dignità di donna e di madre che la vita le aveva negato. Il quadro rimase appeso fino ad alcuni anni addietro nella sagrestia di una chiesa sconsacrata, da dove fu rimosso assieme a calcinacci e vecchi arredi quando l'edificio fu restaurato.
Io ebbi modo di vederlo e mi colpirono oltre i lunghi capelli e le candide spalle nude, alcuni graffi sullo strato scuro della pittura, in basso a sinistra, fatti per cancellare un particolare del dipinto.
Allora non pensai di fotografare né il quadro, né tanto meno il particolare che giudicai insignificante. Si potevano leggere alcune lettere puntate, F.P.P., che interpretai come la firma dell'autore. Solo anni dopo, quando iniziai a leggere i documenti dell'Ottocento, scoprii che a San Marco visse nei primi decenni dell'Ottocento un pittore le cui iniziali coincidevano con le prime due lettere che avevo intravisto sul quadro, mentre la terza indicava che egli ne era stato l'autore:  F[ilippo]   P[erron]e   P[inxit].
Chi e perché avesse tentato di cancellare la firma non saprei dirlo, ma i graffi sulla pittura potevano essere stati prodotti solo dalla punta di un coltello. O di un trincetto.
 
 

L'Ottocento dietro l'angolo romanzo di Paolo Chiaselotti