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Sutt'a lingua : Curiosità e approfondimenti.


PARRATA E SCRITTU.

Scriva cumi parri, scrivi come parli non è cosa buona, in quanto, come nell'italiano, un conto è la parola parlata e altro è quella scritta. Che lo scritto richieda un maggior rispetto delle regole è risaputo, tanto è vero che a chi scriveva con molti errori si diceva che scrivia cum' nu puorcu, mentre se parlava poteva dire tranquillamente quello che gli piaceva, anche commettendo grossi errori, senza essere paragonato ad alcun animale. Se, viceversa, il suo parlare era corretto ed efficace, si diceva parla cumu nu libru stampatu. Questo per far capire quanto fosse tenuto in considerazione lo scrivere correttamente.
Perciò, quando viene riportato per iscritto un discorso, si usano le virgolette: per racchiudervi la frase detta dall'interlocutore, altrimenti potremmo travisare non solo il suo particolare modo di esprimersi, ma anche il contenuto.
Tuttavia nulla vieta ad uno scrittore di usare anch'egli la lingua parlata, in quanto più congeniale al suo stile, riportando, come se si trattasse di termini appartenenti al comune patrimonio linguistico nazionale, voci tratte da dialetti e parlate locali.
Senza voler citare decine di esempi letterari, diciamo che capita spesso di imbattersi in parole dialettali scritte da gente comune, utilizzando lettere non comprese nel nostro alfabeto, solo perché a giudizio di chi scrive esse interpretano meglio il suono originale. Poiché, però un testo non è un registratore audio, dobbiamo pensare che il lettore non è un ascoltatore, per cui di fronte ad una parola scritta in modo arbitrario può non capirla o ritenerla sbagliata.
Prendiamo alcune parole che nella nostra parlata locale presentano delle vocali molto aperte, ad esempio una E oppure una O che sembrano una A. Se modificassimo la parola scrivendola nella maniera in cui essa viene pronunciata creeremmo un nuovo vocabolo, tutto nostro, che potrebbe risultare incomprensibile, oppure compreso solo nell'ambito ristretto del paese. Se è questo lo scopo che vogliamo raggiungere possiamo tranquillamente fare a meno di scrivere, perchè basta uscire o fare una telefonata. Se invece lo scopo è quello di comunicare ad altri sentimenti e pensieri, utilizzando la forma dialettale, allora dobbiamo rispettare alcune regole.
Intanto dobbiamo necessariamente usare il nostro alfabeto, che non comprende la K, la W, la Y, lasciandole ad uso esclusivo del linguaggio messaggistico, criticabile quanto vogliamo, ma ampiamente diffuso per commistioni linguistiche e sintesi discorsiva, che trovano una loro ragion d'essere.
Proprio perché il dialetto ha un'anima e una storia, anche talvolta molto circoscritta, dobbiamo avere rispetto della "lingua" e se per caso ci venisse in mente di scrivere cuaddru, muartu, stuartu, puarcu perchè il nostro orecchio percepisce una A piuttosto che una O, ricordiamoci che esse hanno significato comune con le voci calabresi cuollu, cuoddu, cuoddru, a loro volta influenzate dai maggiori dialetti del Regno di Napoli, il napoletano e il siciliano, per non parlare della comune genealogia latina che fa capo a collum. Vogliamo davvero essere così presuntuosi da ritenere di essere nel giusto scrivendo puarcu?

Io stesso ho iniziato l'argomento con scriva cumi parri, in cui quest'ultimo verbo, che all'infinito fa parra', mi sa tanto di cosentino di borgata, ma avendolo posto tra due belle virgolette mi sono salvato, e nello stesso tempo ho soddisfatto quel chiurito di apparire più sammarchese dei sammarchesi.
La cosa brutta, però, sarebbe stata se, per il gusto di fare il 'saccente', avessi scritto u scrivi unn'è di tutti, perché mi sarei fatto portatore di un principio tanto ingiusto, quanto dannoso, secondo il quale una lingua deve restare "canonica" e riservata a pochi.
Se così fosse non solo nu cuaddru sarebbe stato ghigliottinato senza appello, ma finanche nu puarcu non avrebbe mai potuto aspirare ad un diritto legittimo di successione. Perchè il bello di una lingua, di un idioma, di un dialetto, di una parlata sta proprio nella sua mutevolezza, legata a gruppi sociali, a nuclei familiari, a singoli. L'errore a volte prevale, come un corso d'acqua che devia dal suo letto naturale, ed ecco che la dizione si nu puarcu! potrebbe prevalere sull'altra ritenuta più corretta.
Lo dico, anche a rischio di rimangiarmi tutto quanto ho scritto finora: ma tu vuoi mettere quanto sia appagante, riempitivo, soddisfacente dare a qualcuno del pùarcu! invece dell'ormai insignificante pùorcu! E allora, dai, forza con l'enfasi e la trasgressione, ma con l'obiettivo di far diventare quella parola un patrimonio collettivo. Come iniziare? Beh visto che la pubblicità è l'anima del commercio e che i salumi della Calabria, a quanto si dice, sono tra i migliori, perché non iniziare con una bella pubblicità: "S'unn'è puarcu unn'è nu puorcu".

Chi volesse contribuire ad arricchire il nostro dizionario o gli argomenti riguardanti il dialetto può scrivere a : info@sanmarcoargentano.it


San Marco Argentano, 16 settembre 2022

Paolo Chiaselotti

Varie regioni, e Comuni, usano il dialetto per pubblicizzare la genuinità dei prodotti. Voglio segnalare, ma solo per fare un esempio, la scelta di abbinamento di due vini di un'azienda locale U muntu, corposo e Madama, delicato. L'orgoglio delle proprie origini attraverso un consapevole uso di termini dialettali credo possa essere un'arma vincente.